სოციალურ ქსელში ქართველი ემიგრანტი Nina Georgiana აქვეყნებს პოსტს ე.წ “დეკრეტო ფლისის” შესახებ სადაც აღწერილია რა შანსები აქვს საქართველოს აღნიშნულ სიაში მოხვედრის. მაღალი საზოგადოებრივი ინტერესიდან გამომდინარე emigrantebi.ge უცვლელად გთავაზობთ აღნიშნულ პოსტს:
💠იტალიის ემიგრანტებისთვის.
მორიგ პოპულარულ შეკითხვას რაც შეეხება – შეიყვანს თუ არა იტალია საქართველოს ე.წ.,,დეკრეტო ფლუსის” ქვეყნების სიაში,რომლის მიხედვითაც არალეგალებს შეეძლებათ ლეგალიზაცია –
მეგობრებო,იტალია ვერც ერთ ქვეყანას ვერ შეიყვანს ამ ჩამონათვალში,მათი ანუ,შესაბამისი ქვეყნის თანხმობის გარეშე, უფრო სწორად, მათი ინიციატივის გარეშე,რაც გარკვეული კრიტერიუმებით განისაზღვრება, უპირველესად კი ეს არის დაბალი
სოცილურ-ეკონომიკური ნიშნულის აღიარება ქვეყანაში.
ღარიბაშვილი კი,პირიქით,მსოფლიოს გასაგონად, ეკონომიკის ზრდის ორციფრიან ნიშნულზე საუბრობს – დასკვნა თავად გააკეთეთ,იქნება თუ არა საქართველო ,,დეკრეტო ფლუსის” ჩამონათვალში…
Bentornato decreto flussi | E. Di Pasquale e C. Tronchin
Entro fine anno il “decreto flussi” 2021 dirà quanti lavoratori stranieri possono fare ingresso in Italia. Non è un’apertura incondizionata delle frontiere, ma il tentativo di rispondere a un bisogno dell’economia attraverso una pianificazione ragionata.
Breve storia dei “decreti flussi”
È atteso entro fine anno il “decreto flussi” 2021, lo strumento che determina quanti lavoratori stranieri possono fare ingresso in Italia in un determinato anno. La quota definisce anche quali tipologie di lavoratori sono richiesti: stagionali, autonomi, subordinati e così via. Il decreto non riguarda invece i cittadini di paesi Ue, per i quali vige la libera circolazione, né gli ingressi per ricongiungimento familiare e motivi umanitari, che seguono altri iter.
Le prime anticipazioni parlano di un numero complessivo di 80 mila ingressi, ma ancora non si conosce la ripartizione tra stagionali e non. Sarebbe in ogni caso una svolta rispetto agli ultimi sei anni, quando il numero complessivo era sempre rimasto costante a quota 30.850. E, dal 2011, non è mai salito oltre 60 mila.
Se, da un lato, alcune forze politiche già gridano allo scandalo per questa “apertura delle frontiere”, dall’altro, le categorie economiche chiedono di fare in fretta, vista la mancanza di manodopera.
A partire dal 1998, anno della sua introduzione, il “decreto flussi” è infatti il principale strumento di pianificazione degli ingressi di immigrati per motivi di lavoro. Escludendo gli stagionali (1,2 milioni in totale, ma in molti casi si tratta delle stesse persone entrate in diversi anni), in circa vent’anni sono entrati in questo modo oltre 800 mila lavoratori stranieri.
Dal 2008, anno di inizio della crisi finanziaria globale, gli ingressi programmati si sono drasticamente ridotti, arrivando a poche migliaia più i lavoratori stagionali.
A loro vanno aggiunti altri 2 milioni di lavoratori regolarizzati attraverso le più sbrigative “sanatorie”: quella del 2003, per esempio, rimane tra le più grandi di sempre in Europa, con circa 650 mila persone regolarizzate in pochi mesi.
La regolarizzazione a posteriori (“sanatoria”) rappresenta un’ammissione implicita dell’incapacità di regolamentare gli ingressi.
Inoltre, negli ultimi anni i principali canali di ingresso in Italia sono stati i ricongiungimenti familiari e i motivi umanitari. In entrambi i casi, le domande sono valutate individualmente, senza “quote”.
In sostanza, i bassi numeri dei “decreti flussi” degli ultimi anni non dipendevano da un mancato bisogno di manodopera straniera. Al contrario, il ridotto impiego dei flussi ha spinto verso l’utilizzo di “altri” canali di ingresso, più difficili da monitorare: cittadini comunitari, sbarchi, ricongiungimenti familiari, visti turistici.
Mercato del lavoro complementare
Il principale argomento utilizzato da chi osteggia il “decreto flussi” è la presenza in Italia di 2,6 milioni di percettori di reddito di cittadinanza (Relazione del ministero del Lavoro relativa al 2019). In realtà non tutti i percettori del Rdc sono immediatamente occupabili: sono inclusi infatti minori, persone con disabilità, persone già occupate ma con redditi molto bassi. Neppure i 2,3 milioni di disoccupati (dato Istat aggiornato a ottobre 2021) soddisferebbero la richiesta di manodopera, per localizzazione geografica, caratteristiche professionali e per altri motivi. Nel numero sono compresi anche i disoccupati stranieri, ma ciò non significa che questi possano immediatamente sopperire alle carenze del mercato del lavoro.
Nel 2019, Luigi Cannari, vicecapo del dipartimento economia e statistica della Banca d’Italia, spiegava che “con le attuali tendenze demografiche, avremmo un calo del Pil da qui al 2060 dell’11,5. Per compensare questo andamento demografico, servirebbe un incremento della produttività dello 0,3 per cento all’anno”. Inoltre, “Non solo non c’è uno spiazzamento, nel senso che il lavoro degli immigrati riduce il lavoro dei nativi ma, in alcune situazioni – in particolare per le donne – l’ingresso di popolazione straniera può addirittura favorire la maggiore partecipazione al mercato del lavoro”.
A conclusioni simili giunge Tito Boeri, che, in un articolo del 2019, ha spiegato che “Quando in Italia il lavoro aumenta, aumenta per tutti: italiani e immigrati. Quando diminuisce, diminuisce per tutti. […] La cosa non deve stupire perché il lavoro crea lavoro. Una badante in più permette a una donna italiana in più di lavorare e viceversa. […] Se non ci fossero gli immigrati a fare questi mestieri, molte imprese fallirebbero, togliendo posti di lavoro agli italiani”.
Cosa fanno gli altri paesi
Un altro dato utile a capire la politica migratoria italiana è quello sui permessi di soggiorno. Se m, fino al 2010, se ne registravano più di 500 mila nuovi ogni anno, negli ultimi tempi si è registrato un calo drastico, con il picco minimo toccato nel 2020 (106 mila permessi).
Inoltre, è cambiata fortemente la composizione dei nuovi ingressi. Fino al 2010 gli ingressi per lavoro rappresentavano la componente maggioritaria, oggi sono meno di un decimo del totale.
Fatta eccezione per il 2016 e 2017, in cui si è registrato un picco degli “altri motivi” (principalmente asilo e motivi umanitari), negli ultimi dieci anni, la componente principale è stata quella dei ricongiungimenti familiari.
A livello europeo, in termini assoluti, i (soli) 10 mila permessi per lavoro italiani sono meno di quelli di Romania e Slovacchia. Rapportandoli al numero di abitanti, nel 2020 l’Italia è al penultimo posto, solo la Grecia fa peggio. Da noi, infatti, i permessi per lavoro sono stati appena 1,7 ogni 10 mila abitanti, contro i 12,9 di media Ue.
Appare abbastanza sorprendente, inoltre, il fatto che i paesi dell’Est (quelli del gruppo di Visegrad, da sempre ostile all’accoglienza dei migranti) abbiano un numero di permessi per lavoro più alto dell’Italia: 161 mila la Polonia (prima in assoluto per numero di permessi per lavoro), 32 mila l’Ungheria (il triplo dell’Italia), 29 mila la Repubblica Ceca e 12 mila la Slovacchia (più di noi, nonostante una popolazione di circa 5,5 milioni).
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L’annunciato aumento delle quote di ingresso di lavoratori immigrati non rappresenta dunque una “apertura incondizionata delle frontiere”, anzi, è proprio il tentativo di rispondere a un bisogno dell’economia attraverso una pianificazione ragionata e controllata, l’esatto contrario della gestione emergenziale basata sulle “sanatorie”.
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Enrico Di Pasquale
Ricercatore della Fondazione Leone Moressa. Esperto di immigrazione e di euro-progettazione. Ha collaborato in diversi progetti sui seguenti temi: integrazione socio-economica, associazionismo, formazione e comunicazione. Dal 2013 collabora alla realizzazione del Rapporto annuale sull’economia dell’immigrazione. Collabora con “Lavoce.info”, “Il Mulino”, “Neodemos.it”.
Chiara Tronchin
Ricercatrice della Fondazione Leone Moressa. Esperta di statistica, analisi quantitativa e qualitativa. Partecipa alla realizzazione del Rapporto annuale sull’economia dell’immigrazione dal 2014. Collabora con “Lavoce.info”, “Il Mulino”, “Neodemos.it”. Nel 2015 ha partecipato alla commissione di studio del Ministero dell’Interno che ha portato alla redazione del Rapporto sull’accoglienza di migranti e rifugiati in Italia.